un tango sotto il sole di luglio
Due del pomeriggio di una afosa giornata di luglio. Una di quelle giornate, per capirci, in cui i cani, bbaschiannu, cercano il fresco. Non trovando mai pace. Le poche macchine di passaggio, in quelle ore, sembrano scandire i palpiti dell’asfalto fumante. È l’ora ombrosa della immobilità; dei piatti accatastati nei lavelli delle cucine: l’ora delle telenovelas sudamericane. Lo spiazzo silenzioso ai piedi della palazzina assume le sembianze di un parcheggio polveroso; di un covo di gatti nascosti in attesa del tramonto.
Un temporale in lontananza. L’eco lontana di un pallone rotolante sembra anticipare l’arrivo delle voci di chi è incapace a dormire il silenzio. Urla ripetute e pallonate contro il muro. Petti nudi. I guanti da neve del portiere volante. È uno di quei giorni in cui potrebbe nésciri u sènsiu a qualcuno; le ore assolate in cui fragorose cannonate nella saracinesca potrebbero trasformarsi in papaline per i più piccoli.
Due e cinque minuti dello stesso bruciante pomeriggio di luglio: il campetto disegnato nella nostra mente. Il muro e il muretto, le macchine da dribblare, il marciapiede che si allarga, le traverse immaginarie pari all’altezza del portiere. I pali che, partendo da due grosse pietre, tendono a un infinito che arriva fino alla scala di San Japicu di Galizia.
A scorrere tra le sporche mani é oggi un Tango nuovo di zecca autografato “Giovannino”: non sarà necessario calcolare le traiettorie fuorvianti del Supersantos, la leggerezza bambina del Supertela. Il benzinaio, in un momento di caccia alle mosche, lo ha pure sapientemente gonfiato al punto giusto: arribballa bene; proprio come quello dei giocatori delle figurine .
Qualcuno beve appuzzannu in un bidoncino già per metà svuotato, mentre i capitani, i più forti, impazienti decidono di spariarisi. Nella improvvisazione odierna, Paolino Pilurussu, un girovago di campetti abilissimo a fare palo interno nelle punizioni in prima e Peppe Limuni, generoso distributore di bbicchirina all’avversario si fissano con sguardo di sfida. La coda dell’occhio di Paolino sembra perdersi nella cute del dorso della mano di Peppe, stretta con le dita a cercare “ispirazione”. <<Cchi dici paru o sparu?>>, grida Peppe a un Paolino distratto dal nuovo pallone. <<Sparu>> urla forte il girovago sicuro di vincere. <<Bbim bbum bbà -nisci cincu, sparu>>. << U pollici un vali, quindi é paru>> risponde con sottile ironia u Limuni che inizia scegliendo il compagno con cui si intende a meraviglia. Passaggi di prima, tunnel all’avversario...proprio come Oliver Hatton e Tom Becker della New Team.
Si decide di fari squatri equilibrati e, visto che si é in nove e si giocherà in cinque contro quattro, nella squadra di Paolino ci sarà il portiere volante. Facendo un gol l’unu, però.
C’è fermento nel palla o campu di oggi: i scarpara presenti, non vergognandosi di esserlo, sono stanchi di rincorrere palloni dove perse le scarpe il Signore . Specie con questo sole che spacca le pietre.
Due e tredici minuti, il sudore comincia a colare. Tutti fuori dal cerchio si batte il calcio d’inizio quando ancora il portiere attaccante misura col suo piedino trentasette i dodici passi della porta. La squadra di Paolino é, per chi la conosce solo sul campo di gioco, una compagine di scarafuna e stoccacanneddi. Sandro, in particolare, il più grande di tutti, nonostante non si pallìa bene, tira nchiummazzate imprendibili per i giovanissimi portieri avversari. A volte le sue puntazzate superano di molto il rettangolo immaginario e, dopo l’inevitabile lite <<é gol”-non é gol>>, vanno a sostituire il triplice fischio dell’arbitro. Niente di preoccupante: ognuno tornerà ugualmente a casa col proprio risultato. L’importante é esserci tutti l’indomani, nessuno escluso.
Sette e trentasette minuti, l’ombra dell’ultimo sole. Nella rivincita della seconda bella il risultato é fermo sul tre a uno a favore della squadra di Peppe Limuni. Il portiere-attaccante, Ciuzzu Gesucristu, è diventato fisso per l’ingresso in campo del grintoso Pupunìuru, sceso in ritardo dalla Terrarussa. Ci troviamo sulla trequarti e Giovannino Taccitedda, della squadra in vantaggio, azzecca una scivolata su Ninuzzu che lo fa arruzzulari di due metri. Un vero fallazzu. Pilurussu non perde tempo, si chiama a punizioni e conta i tre passi a cui si posizionerà la barriera. Mentre Pupunìuru, come al solito, fa un passo avanti per guadagnare terreno, Paolino calcia un pallonetto vellutato che scavalcando la barriera nzerta in pieno la cucuzza del piccolo Ninuzzu. Il pallone segue una strana traiettoria, inganna il portiere, colpisce la pietra ed entra. <<Gooool !!!>> rintrona nel campetto, Ninuzzu ha fatto il suo primo gol in una partita “vera”, e di testa! Alla esultanza per l’eccezionalità dell’evento e alla perentoria palla a centro battuta da Giovannino e Peppi Limuni le mamme cominciano ad affacciarsi ai balconi, a richiamare i figli perennemente strati strati. Si prova a elemosinare l’ultimo gol. Quello di un sospirato pareggio preludio di un cu segna vinci a sole addormentato.
Si torna a casa. Il ginocchio sbruddatu di Ninuzzu nella partita del gol di testa. Il pallone di Giovannino Taccitedda già annerito, come nell’anno della prima bocciatura. Al sedicesimo buco contato nel guanto destro del portiere volante si intravede il saluto vitale di Paolino Pilurussu, che scompare improvvisamente dalla nostra vista come prendendo un passaggio al volo verso un ritorno lontano.
Nicola
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