per citarne una
Di Pino Aprile
da La Stampa di Lunedì 19 Gennaio 2009, pag.19
L’Unità d’Italia uccise la più grande acciaieria del Sud
“Artigiani del ferro qui a mongiana? Nemmeno uno. Dopo quel che gli hanno fatto…”. Il dottor Vito Scopacasa, cardiologo, è sindaco del paese.
“Qui c’erano le più grandi e moderne acciaierie d’Italia, sino al 1860”, spiega Sharo Gambino, da poco scomparso, cantore delle Serre calabresi.
“Importavano maestranze bresciane, tecnici inglesi, francesi, svizzeri, tedeschi, in aggiunta ai locali”.
Ora, non un fabbro, dov’erano sino a 1500 operai siderurgici.
L’Unità d’Italia comportò smantellamento e svendita (come ferrovecchio) degl’impianti, fine d’una tradizione millenaria, emigrazione nel bresciano, a Terni, negli Stati Uniti, in Canada.
“E adesso potremo raccontarlo”, dice il dottor Scopacasa. “Fatto questo, smetterò di fare il sindaco”.
“Questo” è recuperare gli stabilimenti, farne un museo, ridare vita e memoria a Mongiana. Per messa in sicurezza degli ambienti, acquisto di arredi e materiali sono arrivati 600mila euro dalla Regione Calabria(dai beni culturali, mai niente). “In estate dovremmo avere i turisti al museo. Lo gestirà una Fondazione privata, il comune avrà funzioni di controllo. Ci sono voluti 34 anni”.
L’Orgoglio
Come racconti il quieto orgoglio di questo professionista, mentre entra, fra due storiche colonne di ghisa, nella fabbrica risorta; mostra l’area-altiforni, dove, in estate, hanno fatto concerti? “Gente che non si è mai mossa da Mongiana non sapeva cosa c’era qui: e fabbrica, altiforni sono fra le case di periferia!
Rimozione mnemonica. Si è voluto dimenticare, per difesa di un dolore troppo forte. Non tutti ci sono riusciti. “Sorse la ferriera, più di 200 anni fa, poi il paese”, ricordava la signora Marisa Tripodi, originaria di Mongiana(amministrava una fonderia a Lumezzane, Brescia).
“Chiuso lo stabilimento, iniziò a morire il paese. Lo lasciai a 19 anni, negli anni sessanta, Un secolo prima, spenta la ferriera, partirono per le Americhe solo uomini, chè speravano del ritorno. Noi no: via a famiglie intere; ci chiudevamo la porta alle spalle e un’altra casa restava muta. Mia nonna e la mia bisnonna lavoravano in ferriera. La campana della chiesa annunciava la paga.
Noi mongianesi sradicati ci siamo ritrovati nelle fonderie del bresciano: 150 famiglie di Mongiana, circa 500 persone, solo a Lumezzane che è ormai la vera Mongiana, per noi delle Serre: quella originale, nel parlare comune, è ridotta a “Mongianella”. Le nostre migliori forze e intelligenze le abbiamo spese lontano. Mi dispiace non averlo fatto per il mio paese. E’ un rammarico, sa?
Un rammarico che sfiora la colpa: ma cosa potevamo fare?”
Si sale a Mongiana, dallo Jonio o dal Tirreno, per strade, storte e strette; sul fianco di monti instabili, distanze che il tempo dilata. Era il più ricco distretto minerario e siderurgico del Regno delle Due Sicilie. I Fenici già producevano ferro qui; nei 900 anni prima dell’Unità, la siderurgia fù l’industria delle Serre, alimentata da minerali ferrosi di queste rocce, tecnici e operai locali, energia ricavata da boschi, cadute d’acqua e carbon fossile del posto. Solo Cesare Fieramosca, fratello scemo di Ettore, (l’eroe della disfida di Barletta), che ebbe in feudo l’intero distretto siderurgico, non seppe che farsene.
Ci capitò nel 1974, l’architetto Gennaro Matacena, napoletano, specialista in archeologia industriale e restauro monumentale(suo il recupero delle Fonderie Medicee di Follonica): “Mi impressionarono le colonne di ghisa. In paese, nessuno ricordava nulla: reticenza, imbarazzo, pudore… Dissi all’allora sindaco, Vincenzo Rullo: “Sa che lei ha un tesoro?” Lui spuntò un finanziamento dalla Cassa per il Mezzogiorno e acquistò la parte di fabbrica divenuta privata. Nell’antica residenza del capitano-sindaco ci indicarono una cassa: “Ci sono carte, lì…”: la pianta del paese e degli stabilimenti(poi restaurata nell’abbazia di Cava dei Tirreni)!”
I Borboni
Ferriere e fonderie sono sul salto dell’Alaro. “Che emozione”, dice Matacena, “rinvenire, negli archivi di stato(grazie burocrazia borbonica!), lettere e documenti che raccontano vita e lavoro di quegli uomini”.
Gli operai si sistemarono in baracche a ridosso degl’impianti. La bidonville conquistò, pian piano, pareti di pietra, poi un prete, la chiesa, adeguamento delle paghe, medico, farmacista, giudice di pace, esenzione della leva militare per gli operai e la prima cassa mutua per operai siderurgici, al mondo, ricordano Brunello De Stefano Manno e Gennaro Matacena(prossimi direttore e presidente della Fondazione), nel loro prezioso volume ‘Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana’. Gli abitanti salirono a quasi duemila. “Oggi meno della metà”, dice il sindaco. “Si campa di foresta e Forestale”.
“Attenti ai … bisogni degli operai, i Borboni fecero costruire ‘luoghi immondi’: gabinetti, roba da signori, mica cespugli!”, narrava Gambino. “Ferdinando II si recò a Mongiana, per sancirne, con la sua presenza, l’interesse strategico. Aveva ordinato di gettare un ponte su un torrente. “Guagliò e ‘o ponte addò sta?”, chiese al funzionario incaricato. “L’avimme passato, maestà”. E il re: “M’avite futtuto!”
L’acciaio delle Serre rese autono il Regno per la produzione di armi, i primi ponti sospesi in ferro d’Italia, la cantieristica della seconda flotta mercantile al mondo, dopo quella inglese, e l’industria ferroviaria di Pietrarsa: la più grande della Penisola(molti Paesi inviarono tecnici a studiarla; lo zar la fece copiare e riprodurre identica, in Russia: sorsero così le celebrate Officine di Kronstadt; i Savoia mandarono un generale; unificato il Paese, la fabbrica fu ridimensionata e si sparò sugli operai che protestavano: una strage).
I riconoscimenti
Ancora nel 1861, gli acciai di Mongiana sono premiati all’Esposizione Industriale di Firenze el’anno dopo, a quella Internazionale di Londra. Ma per Torino, la ‘Ruhr calabrese’ è da chiudere. La scoperta genera incredulità, risentimento, protesta, poi furti, vandalismi, nei boschi compaiono i briganti, la casa del comandante è assalita, la folla calpesta il tricolore, vota ‘no’ al referendum per l’annessione.
La delusione, scrissero gli amministratori comunali al governo, portò il crimine a un paese in cui, in un secolo, ‘possono attestarlo le Autorità civili della Provincia e le Statistiche de’ Tribunali’, mai c’era stato ‘un delitto di sangue, non un furto, non un reato’; perché i mongianesi rispettano ‘come sacra la legge, le persone, la proprietà e muoiono onoratamente di fame’. Esagerazioni? “L’emigrante proclamato, dagli Stati Uniti, ‘italiano più onesto d’America’ era di Mongiana”, dice il sindaco. “Mio prozio”.
Gli altiforni furono spenti per sempre, le rotaie delle miniere vendute a peso.
Il complesso ceduto a un ex-sarto e garibaldino, poi deputato, coinvolto in una truffa allo stato. Mongiana fu condannata, perché si ritenevano sorpassati impianti siderurgici in montagna e non sul mare. Ma chiusa quella calabrese, si costruì l’acciaieria di Terni, fra monti più lontani dal mare: lì vennero fusi i macchinari di Mongiana.
Nell’ultimo appello del consiglio comunale al governo unitario, si assicurava che gli operai erano disposti a ridursi la paga; retribuire loro, i capitecnici; e a produrre cose minime: pesi a metà del prezzo che lo stato pagava ad altri, contatori per mulini a lire 75 l’uno. A 100 lire, ebbe l’appalto una ferriera di Torino, ma i contatori risultarono difettosi.
Ora, l’ex distretto siderurgico più grande d’italia, fa della memoria, pane.
“Museo, più indotto e centro di biodiversità della Forestale, e Mongiana”, dice il sindaco, “non risorge: nasce. Chè mò non è niente”.