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Legambiente - La chimera delle bonifiche
GELA
“Su la sabbia di Gela colore della paglia
mi stendevo fanciullo in riva al mare antico di
Grecia con molti sogni nei pugni stretti nel petto”
(Salvatore Quasimodo)
INQUADRAMENTO STORICO E TERRITORIALE
Un profeta musulmano, Iqbal, attraversò il Mediterraneo e incontrò nel suo
viaggio nella Sicilia meridionale, un’antica città della Magna Grecia fondata, nel
688 a.C. dai coloni Rodii di Lindos e dai Cretesi. Affascinato dalla bellezza dei
luoghi la descrisse come «la perla e l’onore del mare… che, da lungi spunti come
una guida». Si trattava dell’antica Terranova che, successivamente prese il nome
di Gela fondatrice della sub colonia di Agrigento.
Gela, città in cui morì nel 456 a.C. il tragediografo Eschilo, custodisce un
inestimabile patrimonio culturale, archeologico e architettonico spesso
sconosciuto dagli stessi abitanti: l’acropoli greca, le mura militari greche di capo
Soprano, la Torre e la necropoli di Manfria, i bagni greci e numerose chiese.
Purtroppo la maggior parte di questo patrimonio, fatto di templi e necropoli,
testimonianza della vita sociale e spirituale dell’antica città è stato depredato e
sepolto per sempre sotto strade, opere pubbliche e il cemento abusivo delle
centinaia di abitazioni di polveroso tufo che s’inerpicano, confondendosi, sulla
piccola collina di Gela. A Nord, su un’immensa pianura alluvionale, sovrasta e
vigila imponente il “Castelluccio”, un antichissimo ma niero in stile arabo
normanno risalente al XIII secolo.
Fino agli anni ‘50, Gela viveva di una prosperosa agricoltura, il mare era ancora
trasparente e oltre ad essere meta estiva di un turismo locale, era anche molto
generoso con i pescatori che continuavano la tradizione dei padri. Un grosso
centro rurale e marittimo, dedito alla produzione di cotone e vino e
all’esportazione di zolfo proveniente dall’hinterland. Tra le sue meraviglie
contava il faggeto di Bulala, le masserie di Montelungo, il tempio di Bitalemi,
l’immenso e inestimabile patrimonio storico, le bellissime spiagge e il lago
Biviere oggi riserva naturalistica. Il cambiamento avvenne in pochi anni.
Era il 1956 quando Gela, piccolo centro anonimo di provincia, divenne un caso
nazionale. L’Agip scoprì tra i campi di cotone e le distese di frumento un
giacimento di petrolio ed Enrico Mattei, Presidente dell’Eni, Ente nazionale
idrocarburi, ci insediò uno stabilimento petrolchimico.
Dopo i cartaginesi, i greci, i berberi, Federico II e il generale Eisenhower arrivò
una nuova e più devastante invasione, quella dell’Eni
. Gela subì un’ondata di
uomini e l’arrivo di mostri meccanici che cancellavano boschi e spianavano
antiche dune di sabbia. Agli inizi degli anni ‘60 la città diventò una grande
cantiere: la costruzione dell’impianto di raffinazione, del villaggio residenziale
per i dipendenti e i servizi primari furono le attività principali.
Il mare divenne brulicante di navi, quasi a rievocarne lo sbarco degli americani a
ponte Dirillo durante la seconda guerra mondiale. I contadini abbandonavano le
campagne, i pescatori le barche, gli insegnanti le cattedre, per lavorare in fabbrica
inseguendo il sogno di un nuovo sviluppo economico. Migliaia d’immigrati
sbarcarono in una Gela paesana, che non poteva rispondere alle loro esigenze;
mancavano le case, le strade, le scuole e l’acqua. Il progresso stava cambiando
tutto. Sorgevano case con lucernai angusti da destinare agli operai, palazzi a sette
piani per i quadri intermedi e villette alberate e protette da siepi per i dirigenti.
All’ingresso della Città una scritta: “Proprietà privata”.
Lo stabilimento avrebbe dovuto mettere in moto un profondo processo di
miglioramento generalizzato delle condizioni di vita della popolazione. Ma non
andò così. L’odore di appalti e subappalti attirò a Gela anche la mafia della vicina
Riesi. La microcriminalità locale entrò in lotta con la potente Cosa nostra del
Vallone Mussomeli - Vallelunga. Iniziarono le minacce, gli attentati, i morti nella
guerra tra stiddari e ma fiosi per il controllo del territorio.
La città crebbe, crebbe rapidamente e in maniera disordinata su una polverosa
collina di terra ingiallita. Case in tufo senza facciate ad elevazioni irregolari
spuntavano da ogni dove, dando l’impressione di essere accatastate l’una
sull’altra. Le ciminiere della raffineria incominciarono a sputare fumi di anidride
solforosa che a seconda del vento si disperdevano per oltre dieci chilometri
emanando fastidiosi odori.
Le speranze suscitate dalla febbre del petrolio iniziarono a svanire presto.
Il greggio estratto era a grande profondità e molto denso: ciò rendeva il processo
estrattivo molto costoso limitandone la commercializzazione a pochi prodotti.
Negli anni settanta, lo stabilimento dava lavoro a 4mila persone e 6mila lavoratori
dell’indotto. I contraccolpi della crisi petrolifera, l’automatismo e il basso
assorbimento di manodopera non ebbe gli effetti straordinari previsti sul sistema
produttivo. Anno dopo anno si ridusse progressivamente la forza lavoro fino ad
arrivare agli attuali 1.500 lavoratori con un indotto di circa 600 persone, su una
popolazione attuale di oltre 80.000 abitanti.

La crescente conflittualità tra comunità gelese e industria portò l’Eni e l’Isvet, una
società di ricerca del gruppo Eni, a chiedere a Marchioni e Hytten due studiosi di
sociologia ed economia, di recarsi a Gela e studiare le cause della conflittualità
per individuarne il modo di superarle. Marchioni e Hytten elaborarono una loro
diagnosi che non piacque ai committenti, in quanto fu vista come uno strumento
di destabilizzazione della politica aziendale. Ritenendo le loro osservazioni fonte
di guai furono isolati, invitati a lasciar perdere e la loro attività non venne
retribuita.
Il saggio dei due sociologi riuscì ad essere divulgato nel 1970, dopo numerose
pressioni a non pubblicare, dall’editore Franco Angeli con il titolo
“Industrializzazione senza sviluppo: Gela, una storia meridionale”.
L’intera tiratura di mille copie in poco tempo divenne introvabile nelle librerie. Misteriosi
compratori acquistarono in blocco tutti i numeri. L’opera divenne una durissima
accusa all’industrializzazione selvaggia, causa dell’aggravamento a Gela delle
condizioni di degrado del territorio e del lento e inarrestabile radicamento della
mafia, prima inesistente.

Nonostante sia un’opera di oltre trent’anni fa è ancora straordinariamente attuale.
Descrive ciò che è Gela oggi, un insediamento che «possiede le dimensioni e le
potenzialità per essere una città, ma le sue attrezzature arretrate, la mancanza di
nuove strutture in tutti i campi, lo impediscono; e continua ad essere un grosso
paese che ha visto moltiplicati i suoi antichi problemi ai quali si sono andati
sovrapponendo i nuovi, derivati dalla crescita demografica, dall’insediamento
industriale, dall’immigrazione, dalle nuove necessità». «Non occorre nemmeno
essere economista - proseguono nel saggio i due studiosi - per capire che una
moderna industria petrolchimica altamente automatizzata e quindi a basso
assorbimento di manodopera (…) non può avere per sua natura degli effetti
moltiplicativi più che marginali sul sistema produttivo della zona in cui viene
impiantata».
BREVE DESCRIZIONE E STORIA DELL’INSEDIAMENTO
Il polo industriale di Gela ha un’area di 500 ha, occupata in prevalenza da
raffinerie e stabilimenti petrolchimici, delimitata a nord dalla SS 115 Gela -
Vittoria, a est da terreni agricoli, a sud dal demanio marittimo, dove un pontile
con una diga foranea consente l’ancoraggio delle petroliere e a ovest dal fiume
Gela.
Le aziende che occupano l’area industriale sono: Isaf e Agricoltura (entrambe in
fase di liquidazione con impianti inattivi), Agip petroli, Eni - divisione Agip, ex
Enichem (ora divisa in polimeri Europa e Syndial) e Sviluppo Sardegna.
Nel sito vi sono due impianti di distillazione atmosferica, un impianto di
distillazione sottovuoto, un Gofiner, due Coking, un impianto per il cracking
catalitico, uno di alchilazione e un Claus per il recupero dello zolfo.
L’Agip Petroli ha una capacità di raffinazione di circa 6 milioni di tonnellate di
greggio e produce benzine, gasolio, gpl e petcoke. La raffineria è alimentata da
una centrale termoelettrica da 262MW che brucia diversi combustibili (olio
combustibile Atz , Tar e Btz, metano algerino, etc.) tra cui il coke da petrolio,
meglio noto come petcoke, una sostanza di scarto del processo di cracking. I fumi
emessi dovrebbero essere trattati con il cosiddetto processo SNOx per rimuovere
polveri, ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx). Le acque vengono trattate in un
impianto di depurazione Tas/Cte. Un impianto biologico garantisce il trattamento
delle acque di scarico oleose di raffineria e dei reflui urbani di Gela.
Il complesso industriale utilizza 20 milioni di metri cubi d’acqua potabile
provenienti da un dissalatore, costruito con il finanziamento della Cassa per il
Mezzogiorno e gestito dall’Agip, mentre per gli abitanti ne rimangono solo 9
milioni.
L’impianto eroga una serie di servizi comuni, come vapore ed energia elettrica,
dissalazione dell’acqua di mare, distribuzione di fluidi, ecc. Le sostanze chimiche
trattate ed emesse dalle industrie di Gela includono biossido di zolfo, ossido di
azoto e polveri legate ad attività di raffinazione; ammoniaca, fluoro, acido
fosforico, dicloroetano e cianuri dallo stabilimento petrolchimico.
L’ex Enichem produce etilene, ossido di etilene, soda fusa, propilene, buteni,
benzine da cracking, acrilonitrile, polietilene.
I fumi prodotti dall’area industriale producono odori nauseabondi che si
percepiscono soprattutto la sera, quando cambia il vento. Le esalazioni che
durante il giorno puntano sulla vicina Niscemi, la sera inondano la città e,
soprattutto d’estate, creano un mix micidiale con l’umidità, rendendo l’aria
irrespirabile e causa di frequenti disturbi alla cittadinanza.

Alle emissioni in atmosfera si aggiungono gli scarichi nel suolo. Per tanti anni
fanghi contenenti mercurio sono stati smaltiti direttamente sul terreno in
prossimità della linea di costa.

Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti della
scorsa legislatura che, nel corso della visita all’impianto, ha giudicato inidoneo e
poco sicuro il processo di inertizzazione dei fanghi effettuato dalla società
Ecotherm del gruppo Agip. La Commissione ha segnalato anche «la particolare
impressione suscitata dalla vista di un grande bacino di rifiuti oleosi
maleodoranti che in attesa di trattamento e smaltimento, contribuiscono alla
contaminazione della falda presente sotto il sito da tempo in atto».
Nell’area industriale di fronte al petrolchimico, denominata Piana del Signore,
sorge un centro di stoccaggio di oli con relative pipelines oltre ad alcune
discariche industriali di rifiuti speciali pericolosi.
L’analisi ambientale contenuta nel Piano di disinquinamento evidenziava la
presenza di siti potenzialmente contaminati, uno all’interno dello stabilimento
Enichem e l’altro costituito dalla discarica autorizzata nell’area industriale di
Gela.
I principali fenomeni d’inquinamento dell’ambiente marino costiero sono legati
allo scarico diretto in mare tramite il fiume Gela, di acque di processo e di
raffreddamento e a reflui civili non depurati. Gravi rischi si segnalano per le acque
di falda facilmente contaminabili per l’elevata permeabilità del terreno sabbioso.

ASPETTI GIUDIZIARI E INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE
Tra le inchieste giudiziarie quella che risale a novembre del 2003 ha portato al
sequestro di ben 90 serbatoi del petrolchimico le cui perdite avrebbero inquinato
le falde acquifere: una situazione determinata da una politica di non investimento
in sicurezza ambientale e manutenzione degli impianti. Con l’azione penale
dell’Autorità giudiziaria l’azienda è stata costretta ad effettuare le opere di
manutenzione.
La vicenda giudiziaria più clamorosa che ha coinvolto l’area industriale è stata
però quella relativa al petcoke, sollevata dalla Procura di Gela nel 2002. Il petcoke
è un residuo solido del processo di raffinazione del petrolio, prodotto dalla
raffineria di Gela e accatastato all’aperto con pale meccaniche in attesa di essere
bruciato ne lla centrale termoelettrica. Il Decreto Ronchi allora lo classificava tra i
rifiuti ed è tuttora utilizzato come combustibile per alimentare la centrale elettrica
dello stabilimento e venduto ai cementifici per le fornaci.
Il Gip del Tribunale di Gela, con un decreto del 13 febbraio 2002, dispose il
sequestro del petcoke in quanto la centrale di Gela, in base al decreto Ronchi, non
avrebbe avuto i requisiti per utilizzarlo. Un provvedimento che determinò di fatto
il blocco dell’intero impianto per mancanza di energia elettrica.
La reazione della popolazione gelese, preoccupata per la perdita del posto di
lavoro, è sfociata nell’occupazione degli impianti e in due scioperi generali che
hanno bloccato la città e portato a diversi momenti di tensione per l’ordine
pubblico. Il governo nazionale è intervenuto clamorosamente con un decreto ad
hoc, poi convertito in legge, che ne ha autorizzato l’uso del petcoke,
trasformandolo da rifiuto a combustibile. La Procura ha dovuto quindi, emettere il
decreto di dissequestro, con roventi polemiche da parte degli ambientalisti e non
solo.
Le vicende giudiziarie del polo petrolchimico non si sono esaurite con l’episodio
del petcoke. Il 28 giugno del 2002 un incendio ha distrutto parte degli impianti
topping della raffineria, evento che ha portato ad un ulteriore sequestro del forno
dell’impianto di Acn gestito dall’allora Enichem perché non conforme alla legge.
Il processo si è aperto il 22 luglio del 2004 e vede imputati i dirigenti della
raffineria. L’accusa addebita loro l’incendio colposo in quanto le perizie hanno
dimostrato che poteva essere evitato. Gli altri reati contestati riguardano le
emissioni di sostanze inquinanti, lo sversamento di greggio in mare, lo
smaltimento di rifiuti e gli scarichi senza autorizzazioni, l’inquinamento della
spiaggia e del litorale, i danni alla flora e alla fauna.
Nel corso degli ultimi anni si sono registrate nascite di feti malformi con una
punta più alta nel 1995 con 45 casi. Scorrendo su internet i dati del registro
I.S.MA.C sulle nascite malformi registrate in provincia di Caltanissetta tra il 1999
e il 2001, salta all’occhio in maniera assolutamente inaspettata che solo nelle
caselle dell’Ospedale V. Emanuele di Gela i risultati sono pari a zero.
Viene
segnalata soltanto una nascita nel 2001, mentre dal numero di articoli che
appaiono sulla carta stampata la percentuale è molto più alta. Solo nel 2002 ne
vengono segnalate addirittura 46 su 919 nati, il valore più alto della provincia.
L’Ufficio di Igiene e Sanità dell’allora Usl di Gela, nell’ambito di un’indagine
epidemiologica sulla mortalità per patologie cancerogene, ha ottenuto il seguente
risultato: la mortalità per neoplasie nel triennio 1983/85 è pari al 17,8% mentre
nel triennio 1993/95 è pari al 23,9%; il tumore al polmone rimane la prima causa
di morte con percentuali del 28,2%, mentre il tumore al fegato supera di 4-5 volte
la media nazionale.
Soltanto il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità sullo stato di salute
delle popolazioni delle aree ad elevato rischio ambientale, fornisce un quadro
indicativo più chiaro sulla situazione sanitaria a Gela.
Secondo il rapporto dell’Oms, nell’area del Comune di Gela si registrano tra le
cause tumorali, eccessi significativi per il tumore allo stomaco e il tumore al colon
retto e al fegato, mortalità che risulta per tutti i tumori superiore all’atteso
regionale.
Per quanto riguarda le cause non tumorali, soprattutto negli uomini, si registrano
le più alte percentuali di morte e comunque, si legge nel rapporto, «il profilo di
mortalità dell’area è indicativo di uno stato di salute influenzato da numerosi
fattori di rischio a carico dell’apparato digerente».
L’Oms non si limita ad analizzare i dati, ma lancia anche un preciso allarme: «si
registra nell’intera area, un aumento di rischio di contrarre un tumore polmonare
tra gli uomini per le generazioni più giovani (…) per l’accumularsi di effetti sulla
salute legati ad esposizioni professionali nei decenni passati».
Infatti l’insieme
delle esposizioni, che si verificano durante la raffinazione del petrolio, è stato
classificato come probabile cancerogeno dallo Iarc, l’Agenzia internazionale per
la ricerca sul cancro, soprattutto per quel che riguarda il tumore polmonare, quello
linfoematopoietico, alla vescica e le leucemie.
Il rapporto dell’Oms conclude dicendo che non è da escludere che le esposizioni
ambientali possano avere conseguenze sulla salute, soprattutto tra i residenti più
prossimi allo stabilimento o sottovento.
AVANZAMENTO DELL’ISTRUTTORIA DI BONIFICA
Nel dicembre del 1990 l’area è stata dichiarata ad alto rischio di crisi ambientale e
con Dpr del 17 gennaio 1995 è stato approvato il Piano di disinquinamento per il
risanamento ambientale. Con la legge 426/98 Gela diventa uno dei primi quindici
siti di interesse nazionale del Programma nazionale di bonifica.
All’interno del perimetro definito dal Decreto del ministro dell’Ambiente del 10
gennaio 2000 sono presenti un’area privata con un’estensione di circa 4,7 Km2
che comprende il polo industriale, i centri di stoccaggio oli e relative pipelines, la
discarica di rifiuti speciali pericolosi, mentre le superfici a mare sono pari a 46
Km2 e comprese tra il torrente Gattano e Birillo. C’è poi anche l’area umida della
Riserva del Lago Biviere e i torrenti presenti in zona.
Sul fronte dei finanziamenti Gela ha avuto inizialmente oltre 20 milioni di euro,
somma inserita nel Piano di risanamento ambientale (un programma dall’iter
molto tormentato tanto da non riuscire a spendere i soldi per oltre cinque anni),
che prevede un totale di 47 interventi, di cui 14 a carico delle aziende e 33 a
carico dello Stato.
Il piano di risanamento prevedeva interventi da parte dei privati, le società
dell’Eni in particolare. L’azienda sostiene di averli fatti quasi tutti in questi anni:
ammodernamenti e adeguamento di impianti alla legge 203/88, il mega-camino
SNOx per l’abbattimento degli inquinanti dei fumi della centrale termoelettrica e
qualche bonifica.
La parte degli interventi pubblici più che alle bonifiche delle aree contaminate
dalle attività industriali, ha puntato alla caratterizzazione e bonifica di un’ex
discarica di rifiuti, alla realizzazione di fognature, al raddoppio di un depuratore di
reflui, alla creazione di reti di rilevamento dell’inquinamento atmosferico. Nel
2000 il Piano è stato commissariato e la sua realizzazione affidata al Prefetto di
Caltanissetta.
Il ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio ha istruito l’iter sui progetti
in messa in sicurezza delle situazioni di inquinamento in atto, sui piani d’indagine
dello stato di contaminazione di falde e suolo e dei progetti di bonifica.
La quasi totalità del sito è stata sottoposta ad indagini di caratterizzazione, il cui
iter è stato rallentato per i problemi legati alla validazione delle analisi da parte
dell’Arpa Toscana (che le ha fatte al posto di Arpa Sicilia), necessari per la
definitiva approvazione della caratterizzazione e dei progetti preliminari. È stato
approvato il piano di caratterizzazione delle aree marine realizzato dall’Icram e
quello di Syndial sul suolo.
L’intervento immediato, a detta della Società, è stato il tombamento degli scavi
previo aggottamento e smaltimento delle acque affioranti. Un intervento
contestato sia dal Servizio RI.BO. del Ministero, che ha richiesto la rimozione
immediata del volume di suolo contaminato, e dalla Provincia di Caltanissetta,
che con una nota ha dichiarato che alla data del 10 luglio 2003 non risultavano «in
atto interventi di messa in sicurezza di emergenza e i rifiuti accumulati nel corso
delle attività preliminari non risultano iscritti nel registro di carico e scarico».
I risultati dell’attività di caratterizzazione della raffineria di Gela, esposti nella
conferenza di servizi del 17 marzo 2003, «hanno mostrato una contaminazione
diffusa da idrocarburi e puntualmente da arsenico e zinco, mentre all’interno di
diversi pozzi è stata rilevata la presenza di surnatante che in alcuni punti
raggiunge uno spessore pari a 80 cm».
Nello stesso sito l’Arpa Toscana in sede di validazione delle analisi ha evidenziato
la presenza di analiti non ricercati, come l’ammoniaca e il manganese, ritrovati in
concentrazioni elevate nelle acque.
Inoltre nel corso della conferenza di servizi del 15 luglio 2003 è emerso che nelle
acque di falda nell’area K «è stata rilevata la presenza diffusa da composti
organo alifatici clorurati cancerogeni (cloroformio, bromoformio, 1,4
diclorobenzene) e in tutti i campioni il superamento dei limiti per ferro e
manganese».
Dall’attività di caratterizzazione ambientale dei siti Eni è emerso che «dalla
indagini condotte sulle acque di falda risulta evidente una contaminazione della
falda da idrocarburi” in particolare sulla linea di costa. Inoltre “nel sito è stata
riscontrata la presenza diffusa nel suolo di Pd, Zn, Se e nelle acque di falda di
benzene».
Più preoccupante appare il sito Isaf, dove esiste una discarica di 8 milioni di m2 di
fosfogessi, interessata da un progetto di messa in sicurezza di emergenza. Le
difficoltà della bonifica presentano difficoltà legate al rischio di radioattività del
rifiuto, la cui entità dovrà essere quantificata.
Le indagini di caratterizzazione hanno messo in evidenza la necessità di avviare la
messa in sicurezza d’emergenza soprattutto per eliminare il prodotto petrolifero
presente come surnatante nella falda ed impedire il deflusso dalla falda inquinata
al mare con barriere impermeabili in cemento e bentonite o idrauliche, che si
estendono dal petrolchimico verso il mare. Le acque di falda emunte dovrebbero
poi essere trattate in un apposito impianto, per consentirne il riutilizzo ai fini
industriali. Le opere già realizzate sono un diaframma plastico in cemento e
bentonite di 1.700 m, una barriera idraulica con 22 pozzi mentre altre opere (altro
diaframma impermeabile di 1.800 m e barriera idraulica di altri 14 pozzi) sono
attualmente in fase di realizzazione.
Per quanto riguarda il suolo, sono in atto interventi per la messa in sicurezza di
varie isole e della discarica di fosfogessi presso il sito Isaf.
La quasi totalità dei soggetti interessati ha presentato i progetti preliminari di
bonifica, solo in parte approvati, mentre l’Eni divisione Agip e la Raffineria di
Gela s.p.A. hanno presentato quelli definitivi rispettivamente sulle vasche 26 e 57
e vasca A zona 2, approvati con prescrizioni ed integrazioni.
Nel marzo 2004 è stato approvato il progetto definitivo di bonifica della falda,
presentato dalle aziende del sito (Raffineria, Syndial, Isaf e Polimeri Europa), ma
non è stato ancora firmato il decreto interministeriale di approvazione.
Nel sito Syndial è in corso la demolizione di alcuni impianti dismessi, come
l’ossido di etilene, mentre nel novembre dello scorso anno l’ex Enichem ha
ceduto alla raffineria gli impianti e le infrastrutture ancora attive.

VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIA ADOTTATE NELLA BONIFICA
Le aziende che operano nel siti di Gela, nelle varie conferenze di servizio con gli
Enti hanno assunto l’impegno di utilizzare le più innovative tecnologie di
risanamento ambientale al fine di raggiungere gli obiettivi e i limiti previsti dal
Dm 471/99.
Tra le tecnologie proposte dalle Società incaricate a redigere i progetti di bonifica
c’è la cosiddetta “Enisolvex”, un procedimento di estrazione dal terreno di
idrocarburi e inquinanti complessi mediante lavaggi ripetitivi con solventi, in
particolare l’etilacetato. Quest’ultimo verrebbe successivamente recuperato e
riciclato all’interno del sito produttivo. Il riutilizzo in situ del terreno bonificato è
la metodologia più indicata e in linea con i dettami del Dm 471/99, secondo il
quale vanno privilegiate le tecniche che favoriscono la riduzione della
movimentazione, il trattamento in situ ed il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e
dei materiali di riporto sottoposti a bonifica. In realtà ciò non avviene sempre. È
stato segnalato che molto spesso nelle strade di Gela capita di incontrare camion
con targhe del nord Italia, con la vasca posteriore chiusa da un telo di plastica, il
segnale con la “R” (di rifiuto) su sfondo giallo e il pannello arancione indicante un
trasporto di merce pericolosa, prelevare terreni di bonifica dal sito industriale e
portarli via.
Altre tecnologie proposte nei progetti preliminari di bonifica dell’area Syndial e
Polimeri Europa, sono rispettivamente il Soil flushing e la tecnica dell’air
sparging.
PROPOSTA DI RECUPERO TERRITORIALE ED ECONOMICO
Il territorio di Gela possiede enormi potenzialità per intraprendere la via per un
nuovo sviluppo che miri a recuperare e valorizzare l’enorme patrimonio
archeologico, ambientale e culturale che custodisce. Obiettivi che si raggiungono
anche e soprattutto attraverso un piano regolatore, al momento inesistente, la
realizzazione di un progetto di recupero, riqualificazione e riorganizzazione
urbana e il ripristino della legalità e delle regole.
L’impianto industriale deve attuare una nuova politica d’investimenti, effettuando
la necessaria manutenzione e il miglioramento tecnologico dell’intero impianto.
Le numerose inchieste giudiziarie dimostrano come proprio la mancanza di
manutenzione (ad esempio serbatoi che perdono benzina nel terreno, ecc.) sta alla
base del grave inquinamento del territorio. Investire in manutenzione e in nuove
tecnologie per abbattere l’inquinamento, significa incrementare l’occupazione,
creare economia, oltre a prevenire ulteriori contaminazioni
.

_________________
Per contatti:

PRC_gela@yahoo.it


martedì 20 novembre 2007, ore 23:33
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gianiro ha scritto:
E vabbè ti rispondo............non so tenere rancore.

Se vuoi sapere da me se sarebbe stato meglio non fare la Raffineria a Gela, la mia risposta non può che essere SI, sarebbe stato meglio non farla. Se il tuo invasamento non ti renderebbe cieca lo avresti capito da tutti i miei messaggi.
In Breve:
Era meglio non farla.
Era meglio farla da qualche altra parte......a Licata per esempio poi erano cazzi dei Licatesi.
Ormai c'è: o si tiene aperta o si chiude.....per andarla a fare in Africa....tanto poi muoino i negretti al posto nostro.
Se si tiene aperta bisogna tenere gli occhi aperti affinchè ogni miglioramento tecnologico venga immediatamente recepito.
Non possiamo pretendere una Raffineria, o un industria in genere, ad impatto ambientale zero.
D'altronde se quando vai a Milano a fare le supplenze, vuoi prendere l'aereo invece che il mulo ci vuole il petrolio.
Se qualcuno sbaglia dal più alto dirigente al più basso operaio deve pagare, se in passato non è stato fatto deve essere fatto ora.

L'Eni sta investendo nella Raffineria di Gela più soldi che in qualsiasi altra raffineria per quanto riguarda tecnologie per l'ambiente e per il recupero dei danni creati nel tempo. Ci sono compagnie private che a Siracusa neanche per il ca**o si preoccupano di investire per il recupero del territorio.

Immagine


gianiro, una volta dicesti che preferivi gela così com'era, arricchita grazie alla raffineria, a una cittadina anonima come licata.
cmq, ankio penso ke oramai la morte per tumore è disgraziatamente diffusa in tutto il mondo, che ci sia o no lo zampino di uno stabilimento industriale vicino. è lo stile di vita dell'uomo moderno a causarli. un prezzo caro da pagare.

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mercoledì 21 novembre 2007, ore 4:25
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Se il prezzo si deve pagare con la morte dei bambini io non ci sto,via l´eni da gela,ma che discorsi sono si poteva costruire a Licata o in Africa?Mi domando ma per forza attaccata alla citta si doveva costruire? Potevano farla a Desusino (e forse ora saremmo in tre citta a lamentarci)o che so io,ma no a 100 metri dal centro storico,a 50 metri da una scuola media a due passi da un asilo magari,e´una vergogna,la mia solidarieta va a quelle famiglie che hanno perso i loro cari e a quelle signore(la sig.Verderame e´una mia amica di infanzia)che lottano per i loro figli nati con delle malformazioni.

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Lo scopo del lavoro e´quello di guadagnarsi il tempo libero.
Fatevi le mele invece delle pere.
(Giobbe Covatta)


mercoledì 21 novembre 2007, ore 9:45
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AH GIANI'
DECIDITI: SI FANNO IL CU** PER TROVARE SEMPRE NUOVE TECNOLOGIE CHE RIDUCANO AL MINIMO I DANNI ALLA SALUTE E ALL'AMBIENTE, O I TUOI AMICI DIRIGENTI ENI DI ROMA SE NE STANNO SBATTENDO?! SONO GIA' PERFETTI COSI' COME HAI RIBADITO PIU' VOLTE E ADDIRITTURA ESAGERANO NELLE PROCEDURE?
TUTTO QUESTO FATALISMO SULLA PELLE DEGLI ALTRI? SI PUO' E SI DEVE CAMBIARE ATTEGGIAMENTO: DIRITTI E DOVERI, RICORDI? IN TUTTO IL MONDO!
GERRY CI RICORDA IL RISCHIO SEVESO: SICUREZZA E BONIFICHE NON POSSONO ATTENDERE OLTRE!
CHI ROMPE PAGA E SOLO COSI' ...DECIDE DI PREVENIRE!

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mercoledì 21 novembre 2007, ore 20:18
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Ragazzi ci avviciniamo a Natale , non litigatevi....cmq vi dico che questo topic non l'ho letto , un Roy biricchino.


mercoledì 21 novembre 2007, ore 23:00
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NON MI FIDO DEGLI ARTICOLI SU AZIENDE QUOTATE IN BORSA NE' DEL GIUDIZIO DEI PIU' GRANDI GIOCATOR/SPECULATORI AL MONDO DI QUESTO CRUDELE GIOCO (X TUTTI I LAVORATORI CHE I BENI LI CREANO MATERIALMENTE, COL SUDORE DELLA FRONTE PER VEDERLI SCOMPARIRE NEL NULLA).
SE L'EFFETO SEVESO NON POTEVA ESSERE PREVISTO...E' ANCHE VERO CHE L'ENI NON HA PROGRAMMATO E COSTRUITO VIE DI FUGA, NON E' MAI STATO PROVATO UN PIANO DI FUGA E...
UN'INFORMAZIONE, GIANIRO: QUAL'E' IL CAPITALE A DISPOSIZIONE PER COPRIRE EVENTUALI DANNI AMBIENTALI ANCHE NEL CASO CHE UN GIORNO, MALAUGURATAMENTE, L'ENI VENISSE DELOCALIZZATA ALTROVE?

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giovedì 22 novembre 2007, ore 15:22
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