LAURA77
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NEANCHE IO!
Legambiente - La chimera delle bonifiche GELA “Su la sabbia di Gela colore della paglia mi stendevo fanciullo in riva al mare antico di Grecia con molti sogni nei pugni stretti nel petto” (Salvatore Quasimodo) INQUADRAMENTO STORICO E TERRITORIALE Un profeta musulmano, Iqbal, attraversò il Mediterraneo e incontrò nel suo viaggio nella Sicilia meridionale, un’antica città della Magna Grecia fondata, nel 688 a.C. dai coloni Rodii di Lindos e dai Cretesi. Affascinato dalla bellezza dei luoghi la descrisse come «la perla e l’onore del mare… che, da lungi spunti come una guida». Si trattava dell’antica Terranova che, successivamente prese il nome di Gela fondatrice della sub colonia di Agrigento. Gela, città in cui morì nel 456 a.C. il tragediografo Eschilo, custodisce un inestimabile patrimonio culturale, archeologico e architettonico spesso sconosciuto dagli stessi abitanti: l’acropoli greca, le mura militari greche di capo Soprano, la Torre e la necropoli di Manfria, i bagni greci e numerose chiese. Purtroppo la maggior parte di questo patrimonio, fatto di templi e necropoli, testimonianza della vita sociale e spirituale dell’antica città è stato depredato e sepolto per sempre sotto strade, opere pubbliche e il cemento abusivo delle centinaia di abitazioni di polveroso tufo che s’inerpicano, confondendosi, sulla piccola collina di Gela. A Nord, su un’immensa pianura alluvionale, sovrasta e vigila imponente il “Castelluccio”, un antichissimo ma niero in stile arabo normanno risalente al XIII secolo. Fino agli anni ‘50, Gela viveva di una prosperosa agricoltura, il mare era ancora trasparente e oltre ad essere meta estiva di un turismo locale, era anche molto generoso con i pescatori che continuavano la tradizione dei padri. Un grosso centro rurale e marittimo, dedito alla produzione di cotone e vino e all’esportazione di zolfo proveniente dall’hinterland. Tra le sue meraviglie contava il faggeto di Bulala, le masserie di Montelungo, il tempio di Bitalemi, l’immenso e inestimabile patrimonio storico, le bellissime spiagge e il lago Biviere oggi riserva naturalistica. Il cambiamento avvenne in pochi anni. Era il 1956 quando Gela, piccolo centro anonimo di provincia, divenne un caso nazionale. L’Agip scoprì tra i campi di cotone e le distese di frumento un giacimento di petrolio ed Enrico Mattei, Presidente dell’Eni, Ente nazionale idrocarburi, ci insediò uno stabilimento petrolchimico. Dopo i cartaginesi, i greci, i berberi, Federico II e il generale Eisenhower arrivò una nuova e più devastante invasione, quella dell’Eni. Gela subì un’ondata di uomini e l’arrivo di mostri meccanici che cancellavano boschi e spianavano antiche dune di sabbia. Agli inizi degli anni ‘60 la città diventò una grande cantiere: la costruzione dell’impianto di raffinazione, del villaggio residenziale per i dipendenti e i servizi primari furono le attività principali. Il mare divenne brulicante di navi, quasi a rievocarne lo sbarco degli americani a ponte Dirillo durante la seconda guerra mondiale. I contadini abbandonavano le campagne, i pescatori le barche, gli insegnanti le cattedre, per lavorare in fabbrica inseguendo il sogno di un nuovo sviluppo economico. Migliaia d’immigrati sbarcarono in una Gela paesana, che non poteva rispondere alle loro esigenze; mancavano le case, le strade, le scuole e l’acqua. Il progresso stava cambiando tutto. Sorgevano case con lucernai angusti da destinare agli operai, palazzi a sette piani per i quadri intermedi e villette alberate e protette da siepi per i dirigenti. All’ingresso della Città una scritta: “Proprietà privata”. Lo stabilimento avrebbe dovuto mettere in moto un profondo processo di miglioramento generalizzato delle condizioni di vita della popolazione. Ma non andò così. L’odore di appalti e subappalti attirò a Gela anche la mafia della vicina Riesi. La microcriminalità locale entrò in lotta con la potente Cosa nostra del Vallone Mussomeli - Vallelunga. Iniziarono le minacce, gli attentati, i morti nella guerra tra stiddari e ma fiosi per il controllo del territorio. La città crebbe, crebbe rapidamente e in maniera disordinata su una polverosa collina di terra ingiallita. Case in tufo senza facciate ad elevazioni irregolari spuntavano da ogni dove, dando l’impressione di essere accatastate l’una sull’altra. Le ciminiere della raffineria incominciarono a sputare fumi di anidride solforosa che a seconda del vento si disperdevano per oltre dieci chilometri emanando fastidiosi odori. Le speranze suscitate dalla febbre del petrolio iniziarono a svanire presto. Il greggio estratto era a grande profondità e molto denso: ciò rendeva il processo estrattivo molto costoso limitandone la commercializzazione a pochi prodotti. Negli anni settanta, lo stabilimento dava lavoro a 4mila persone e 6mila lavoratori dell’indotto. I contraccolpi della crisi petrolifera, l’automatismo e il basso assorbimento di manodopera non ebbe gli effetti straordinari previsti sul sistema produttivo. Anno dopo anno si ridusse progressivamente la forza lavoro fino ad arrivare agli attuali 1.500 lavoratori con un indotto di circa 600 persone, su una popolazione attuale di oltre 80.000 abitanti. La crescente conflittualità tra comunità gelese e industria portò l’Eni e l’Isvet, una società di ricerca del gruppo Eni, a chiedere a Marchioni e Hytten due studiosi di sociologia ed economia, di recarsi a Gela e studiare le cause della conflittualità per individuarne il modo di superarle. Marchioni e Hytten elaborarono una loro diagnosi che non piacque ai committenti, in quanto fu vista come uno strumento di destabilizzazione della politica aziendale. Ritenendo le loro osservazioni fonte di guai furono isolati, invitati a lasciar perdere e la loro attività non venne retribuita. Il saggio dei due sociologi riuscì ad essere divulgato nel 1970, dopo numerose pressioni a non pubblicare, dall’editore Franco Angeli con il titolo “Industrializzazione senza sviluppo: Gela, una storia meridionale”. L’intera tiratura di mille copie in poco tempo divenne introvabile nelle librerie. Misteriosi compratori acquistarono in blocco tutti i numeri. L’opera divenne una durissima accusa all’industrializzazione selvaggia, causa dell’aggravamento a Gela delle condizioni di degrado del territorio e del lento e inarrestabile radicamento della mafia, prima inesistente. Nonostante sia un’opera di oltre trent’anni fa è ancora straordinariamente attuale. Descrive ciò che è Gela oggi, un insediamento che «possiede le dimensioni e le potenzialità per essere una città, ma le sue attrezzature arretrate, la mancanza di nuove strutture in tutti i campi, lo impediscono; e continua ad essere un grosso paese che ha visto moltiplicati i suoi antichi problemi ai quali si sono andati sovrapponendo i nuovi, derivati dalla crescita demografica, dall’insediamento industriale, dall’immigrazione, dalle nuove necessità». «Non occorre nemmeno essere economista - proseguono nel saggio i due studiosi - per capire che una moderna industria petrolchimica altamente automatizzata e quindi a basso assorbimento di manodopera (…) non può avere per sua natura degli effetti moltiplicativi più che marginali sul sistema produttivo della zona in cui viene impiantata». BREVE DESCRIZIONE E STORIA DELL’INSEDIAMENTO Il polo industriale di Gela ha un’area di 500 ha, occupata in prevalenza da raffinerie e stabilimenti petrolchimici, delimitata a nord dalla SS 115 Gela - Vittoria, a est da terreni agricoli, a sud dal demanio marittimo, dove un pontile con una diga foranea consente l’ancoraggio delle petroliere e a ovest dal fiume Gela. Le aziende che occupano l’area industriale sono: Isaf e Agricoltura (entrambe in fase di liquidazione con impianti inattivi), Agip petroli, Eni - divisione Agip, ex Enichem (ora divisa in polimeri Europa e Syndial) e Sviluppo Sardegna. Nel sito vi sono due impianti di distillazione atmosferica, un impianto di distillazione sottovuoto, un Gofiner, due Coking, un impianto per il cracking catalitico, uno di alchilazione e un Claus per il recupero dello zolfo. L’Agip Petroli ha una capacità di raffinazione di circa 6 milioni di tonnellate di greggio e produce benzine, gasolio, gpl e petcoke. La raffineria è alimentata da una centrale termoelettrica da 262MW che brucia diversi combustibili (olio combustibile Atz , Tar e Btz, metano algerino, etc.) tra cui il coke da petrolio, meglio noto come petcoke, una sostanza di scarto del processo di cracking. I fumi emessi dovrebbero essere trattati con il cosiddetto processo SNOx per rimuovere polveri, ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx). Le acque vengono trattate in un impianto di depurazione Tas/Cte. Un impianto biologico garantisce il trattamento delle acque di scarico oleose di raffineria e dei reflui urbani di Gela. Il complesso industriale utilizza 20 milioni di metri cubi d’acqua potabile provenienti da un dissalatore, costruito con il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno e gestito dall’Agip, mentre per gli abitanti ne rimangono solo 9 milioni. L’impianto eroga una serie di servizi comuni, come vapore ed energia elettrica, dissalazione dell’acqua di mare, distribuzione di fluidi, ecc. Le sostanze chimiche trattate ed emesse dalle industrie di Gela includono biossido di zolfo, ossido di azoto e polveri legate ad attività di raffinazione; ammoniaca, fluoro, acido fosforico, dicloroetano e cianuri dallo stabilimento petrolchimico. L’ex Enichem produce etilene, ossido di etilene, soda fusa, propilene, buteni, benzine da cracking, acrilonitrile, polietilene. I fumi prodotti dall’area industriale producono odori nauseabondi che si percepiscono soprattutto la sera, quando cambia il vento. Le esalazioni che durante il giorno puntano sulla vicina Niscemi, la sera inondano la città e, soprattutto d’estate, creano un mix micidiale con l’umidità, rendendo l’aria irrespirabile e causa di frequenti disturbi alla cittadinanza. Alle emissioni in atmosfera si aggiungono gli scarichi nel suolo. Per tanti anni fanghi contenenti mercurio sono stati smaltiti direttamente sul terreno in prossimità della linea di costa. Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti della scorsa legislatura che, nel corso della visita all’impianto, ha giudicato inidoneo e poco sicuro il processo di inertizzazione dei fanghi effettuato dalla società Ecotherm del gruppo Agip. La Commissione ha segnalato anche «la particolare impressione suscitata dalla vista di un grande bacino di rifiuti oleosi maleodoranti che in attesa di trattamento e smaltimento, contribuiscono alla contaminazione della falda presente sotto il sito da tempo in atto». Nell’area industriale di fronte al petrolchimico, denominata Piana del Signore, sorge un centro di stoccaggio di oli con relative pipelines oltre ad alcune discariche industriali di rifiuti speciali pericolosi. L’analisi ambientale contenuta nel Piano di disinquinamento evidenziava la presenza di siti potenzialmente contaminati, uno all’interno dello stabilimento Enichem e l’altro costituito dalla discarica autorizzata nell’area industriale di Gela. I principali fenomeni d’inquinamento dell’ambiente marino costiero sono legati allo scarico diretto in mare tramite il fiume Gela, di acque di processo e di raffreddamento e a reflui civili non depurati. Gravi rischi si segnalano per le acque di falda facilmente contaminabili per l’elevata permeabilità del terreno sabbioso. ASPETTI GIUDIZIARI E INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE Tra le inchieste giudiziarie quella che risale a novembre del 2003 ha portato al sequestro di ben 90 serbatoi del petrolchimico le cui perdite avrebbero inquinato le falde acquifere: una situazione determinata da una politica di non investimento in sicurezza ambientale e manutenzione degli impianti. Con l’azione penale dell’Autorità giudiziaria l’azienda è stata costretta ad effettuare le opere di manutenzione. La vicenda giudiziaria più clamorosa che ha coinvolto l’area industriale è stata però quella relativa al petcoke, sollevata dalla Procura di Gela nel 2002. Il petcoke è un residuo solido del processo di raffinazione del petrolio, prodotto dalla raffineria di Gela e accatastato all’aperto con pale meccaniche in attesa di essere bruciato ne lla centrale termoelettrica. Il Decreto Ronchi allora lo classificava tra i rifiuti ed è tuttora utilizzato come combustibile per alimentare la centrale elettrica dello stabilimento e venduto ai cementifici per le fornaci. Il Gip del Tribunale di Gela, con un decreto del 13 febbraio 2002, dispose il sequestro del petcoke in quanto la centrale di Gela, in base al decreto Ronchi, non avrebbe avuto i requisiti per utilizzarlo. Un provvedimento che determinò di fatto il blocco dell’intero impianto per mancanza di energia elettrica. La reazione della popolazione gelese, preoccupata per la perdita del posto di lavoro, è sfociata nell’occupazione degli impianti e in due scioperi generali che hanno bloccato la città e portato a diversi momenti di tensione per l’ordine pubblico. Il governo nazionale è intervenuto clamorosamente con un decreto ad hoc, poi convertito in legge, che ne ha autorizzato l’uso del petcoke, trasformandolo da rifiuto a combustibile. La Procura ha dovuto quindi, emettere il decreto di dissequestro, con roventi polemiche da parte degli ambientalisti e non solo. Le vicende giudiziarie del polo petrolchimico non si sono esaurite con l’episodio del petcoke. Il 28 giugno del 2002 un incendio ha distrutto parte degli impianti topping della raffineria, evento che ha portato ad un ulteriore sequestro del forno dell’impianto di Acn gestito dall’allora Enichem perché non conforme alla legge. Il processo si è aperto il 22 luglio del 2004 e vede imputati i dirigenti della raffineria. L’accusa addebita loro l’incendio colposo in quanto le perizie hanno dimostrato che poteva essere evitato. Gli altri reati contestati riguardano le emissioni di sostanze inquinanti, lo sversamento di greggio in mare, lo smaltimento di rifiuti e gli scarichi senza autorizzazioni, l’inquinamento della spiaggia e del litorale, i danni alla flora e alla fauna. Nel corso degli ultimi anni si sono registrate nascite di feti malformi con una punta più alta nel 1995 con 45 casi. Scorrendo su internet i dati del registro I.S.MA.C sulle nascite malformi registrate in provincia di Caltanissetta tra il 1999 e il 2001, salta all’occhio in maniera assolutamente inaspettata che solo nelle caselle dell’Ospedale V. Emanuele di Gela i risultati sono pari a zero. Viene segnalata soltanto una nascita nel 2001, mentre dal numero di articoli che appaiono sulla carta stampata la percentuale è molto più alta. Solo nel 2002 ne vengono segnalate addirittura 46 su 919 nati, il valore più alto della provincia. L’Ufficio di Igiene e Sanità dell’allora Usl di Gela, nell’ambito di un’indagine epidemiologica sulla mortalità per patologie cancerogene, ha ottenuto il seguente risultato: la mortalità per neoplasie nel triennio 1983/85 è pari al 17,8% mentre nel triennio 1993/95 è pari al 23,9%; il tumore al polmone rimane la prima causa di morte con percentuali del 28,2%, mentre il tumore al fegato supera di 4-5 volte la media nazionale.Soltanto il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità sullo stato di salute delle popolazioni delle aree ad elevato rischio ambientale, fornisce un quadro indicativo più chiaro sulla situazione sanitaria a Gela. Secondo il rapporto dell’Oms, nell’area del Comune di Gela si registrano tra le cause tumorali, eccessi significativi per il tumore allo stomaco e il tumore al colon retto e al fegato, mortalità che risulta per tutti i tumori superiore all’atteso regionale. Per quanto riguarda le cause non tumorali, soprattutto negli uomini, si registrano le più alte percentuali di morte e comunque, si legge nel rapporto, «il profilo di mortalità dell’area è indicativo di uno stato di salute influenzato da numerosi fattori di rischio a carico dell’apparato digerente». L’Oms non si limita ad analizzare i dati, ma lancia anche un preciso allarme: «si registra nell’intera area, un aumento di rischio di contrarre un tumore polmonare tra gli uomini per le generazioni più giovani (…) per l’accumularsi di effetti sulla salute legati ad esposizioni professionali nei decenni passati». Infatti l’insieme delle esposizioni, che si verificano durante la raffinazione del petrolio, è stato classificato come probabile cancerogeno dallo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, soprattutto per quel che riguarda il tumore polmonare, quello linfoematopoietico, alla vescica e le leucemie. Il rapporto dell’Oms conclude dicendo che non è da escludere che le esposizioni ambientali possano avere conseguenze sulla salute, soprattutto tra i residenti più prossimi allo stabilimento o sottovento. AVANZAMENTO DELL’ISTRUTTORIA DI BONIFICA Nel dicembre del 1990 l’area è stata dichiarata ad alto rischio di crisi ambientale e con Dpr del 17 gennaio 1995 è stato approvato il Piano di disinquinamento per il risanamento ambientale. Con la legge 426/98 Gela diventa uno dei primi quindici siti di interesse nazionale del Programma nazionale di bonifica. All’interno del perimetro definito dal Decreto del ministro dell’Ambiente del 10 gennaio 2000 sono presenti un’area privata con un’estensione di circa 4,7 Km2 che comprende il polo industriale, i centri di stoccaggio oli e relative pipelines, la discarica di rifiuti speciali pericolosi, mentre le superfici a mare sono pari a 46 Km2 e comprese tra il torrente Gattano e Birillo. C’è poi anche l’area umida della Riserva del Lago Biviere e i torrenti presenti in zona. Sul fronte dei finanziamenti Gela ha avuto inizialmente oltre 20 milioni di euro, somma inserita nel Piano di risanamento ambientale (un programma dall’iter molto tormentato tanto da non riuscire a spendere i soldi per oltre cinque anni), che prevede un totale di 47 interventi, di cui 14 a carico delle aziende e 33 a carico dello Stato. Il piano di risanamento prevedeva interventi da parte dei privati, le società dell’Eni in particolare. L’azienda sostiene di averli fatti quasi tutti in questi anni: ammodernamenti e adeguamento di impianti alla legge 203/88, il mega-camino SNOx per l’abbattimento degli inquinanti dei fumi della centrale termoelettrica e qualche bonifica. La parte degli interventi pubblici più che alle bonifiche delle aree contaminate dalle attività industriali, ha puntato alla caratterizzazione e bonifica di un’ex discarica di rifiuti, alla realizzazione di fognature, al raddoppio di un depuratore di reflui, alla creazione di reti di rilevamento dell’inquinamento atmosferico. Nel 2000 il Piano è stato commissariato e la sua realizzazione affidata al Prefetto di Caltanissetta. Il ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio ha istruito l’iter sui progetti in messa in sicurezza delle situazioni di inquinamento in atto, sui piani d’indagine dello stato di contaminazione di falde e suolo e dei progetti di bonifica. La quasi totalità del sito è stata sottoposta ad indagini di caratterizzazione, il cui iter è stato rallentato per i problemi legati alla validazione delle analisi da parte dell’Arpa Toscana (che le ha fatte al posto di Arpa Sicilia), necessari per la definitiva approvazione della caratterizzazione e dei progetti preliminari. È stato approvato il piano di caratterizzazione delle aree marine realizzato dall’Icram e quello di Syndial sul suolo. L’intervento immediato, a detta della Società, è stato il tombamento degli scavi previo aggottamento e smaltimento delle acque affioranti. Un intervento contestato sia dal Servizio RI.BO. del Ministero, che ha richiesto la rimozione immediata del volume di suolo contaminato, e dalla Provincia di Caltanissetta, che con una nota ha dichiarato che alla data del 10 luglio 2003 non risultavano «in atto interventi di messa in sicurezza di emergenza e i rifiuti accumulati nel corso delle attività preliminari non risultano iscritti nel registro di carico e scarico». I risultati dell’attività di caratterizzazione della raffineria di Gela, esposti nella conferenza di servizi del 17 marzo 2003, «hanno mostrato una contaminazione diffusa da idrocarburi e puntualmente da arsenico e zinco, mentre all’interno di diversi pozzi è stata rilevata la presenza di surnatante che in alcuni punti raggiunge uno spessore pari a 80 cm». Nello stesso sito l’Arpa Toscana in sede di validazione delle analisi ha evidenziato la presenza di analiti non ricercati, come l’ammoniaca e il manganese, ritrovati in concentrazioni elevate nelle acque. Inoltre nel corso della conferenza di servizi del 15 luglio 2003 è emerso che nelle acque di falda nell’area K «è stata rilevata la presenza diffusa da composti organo alifatici clorurati cancerogeni (cloroformio, bromoformio, 1,4 diclorobenzene) e in tutti i campioni il superamento dei limiti per ferro e manganese». Dall’attività di caratterizzazione ambientale dei siti Eni è emerso che «dalla indagini condotte sulle acque di falda risulta evidente una contaminazione della falda da idrocarburi” in particolare sulla linea di costa. Inoltre “nel sito è stata riscontrata la presenza diffusa nel suolo di Pd, Zn, Se e nelle acque di falda di benzene». Più preoccupante appare il sito Isaf, dove esiste una discarica di 8 milioni di m2 di fosfogessi, interessata da un progetto di messa in sicurezza di emergenza. Le difficoltà della bonifica presentano difficoltà legate al rischio di radioattività del rifiuto, la cui entità dovrà essere quantificata. Le indagini di caratterizzazione hanno messo in evidenza la necessità di avviare la messa in sicurezza d’emergenza soprattutto per eliminare il prodotto petrolifero presente come surnatante nella falda ed impedire il deflusso dalla falda inquinata al mare con barriere impermeabili in cemento e bentonite o idrauliche, che si estendono dal petrolchimico verso il mare. Le acque di falda emunte dovrebbero poi essere trattate in un apposito impianto, per consentirne il riutilizzo ai fini industriali. Le opere già realizzate sono un diaframma plastico in cemento e bentonite di 1.700 m, una barriera idraulica con 22 pozzi mentre altre opere (altro diaframma impermeabile di 1.800 m e barriera idraulica di altri 14 pozzi) sono attualmente in fase di realizzazione. Per quanto riguarda il suolo, sono in atto interventi per la messa in sicurezza di varie isole e della discarica di fosfogessi presso il sito Isaf. La quasi totalità dei soggetti interessati ha presentato i progetti preliminari di bonifica, solo in parte approvati, mentre l’Eni divisione Agip e la Raffineria di Gela s.p.A. hanno presentato quelli definitivi rispettivamente sulle vasche 26 e 57 e vasca A zona 2, approvati con prescrizioni ed integrazioni. Nel marzo 2004 è stato approvato il progetto definitivo di bonifica della falda, presentato dalle aziende del sito (Raffineria, Syndial, Isaf e Polimeri Europa), ma non è stato ancora firmato il decreto interministeriale di approvazione. Nel sito Syndial è in corso la demolizione di alcuni impianti dismessi, come l’ossido di etilene, mentre nel novembre dello scorso anno l’ex Enichem ha ceduto alla raffineria gli impianti e le infrastrutture ancora attive. VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIA ADOTTATE NELLA BONIFICA Le aziende che operano nel siti di Gela, nelle varie conferenze di servizio con gli Enti hanno assunto l’impegno di utilizzare le più innovative tecnologie di risanamento ambientale al fine di raggiungere gli obiettivi e i limiti previsti dal Dm 471/99. Tra le tecnologie proposte dalle Società incaricate a redigere i progetti di bonifica c’è la cosiddetta “Enisolvex”, un procedimento di estrazione dal terreno di idrocarburi e inquinanti complessi mediante lavaggi ripetitivi con solventi, in particolare l’etilacetato. Quest’ultimo verrebbe successivamente recuperato e riciclato all’interno del sito produttivo. Il riutilizzo in situ del terreno bonificato è la metodologia più indicata e in linea con i dettami del Dm 471/99, secondo il quale vanno privilegiate le tecniche che favoriscono la riduzione della movimentazione, il trattamento in situ ed il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e dei materiali di riporto sottoposti a bonifica. In realtà ciò non avviene sempre. È stato segnalato che molto spesso nelle strade di Gela capita di incontrare camion con targhe del nord Italia, con la vasca posteriore chiusa da un telo di plastica, il segnale con la “R” (di rifiuto) su sfondo giallo e il pannello arancione indicante un trasporto di merce pericolosa, prelevare terreni di bonifica dal sito industriale e portarli via. Altre tecnologie proposte nei progetti preliminari di bonifica dell’area Syndial e Polimeri Europa, sono rispettivamente il Soil flushing e la tecnica dell’air sparging. PROPOSTA DI RECUPERO TERRITORIALE ED ECONOMICO Il territorio di Gela possiede enormi potenzialità per intraprendere la via per un nuovo sviluppo che miri a recuperare e valorizzare l’enorme patrimonio archeologico, ambientale e culturale che custodisce. Obiettivi che si raggiungono anche e soprattutto attraverso un piano regolatore, al momento inesistente, la realizzazione di un progetto di recupero, riqualificazione e riorganizzazione urbana e il ripristino della legalità e delle regole. L’impianto industriale deve attuare una nuova politica d’investimenti, effettuando la necessaria manutenzione e il miglioramento tecnologico dell’intero impianto. Le numerose inchieste giudiziarie dimostrano come proprio la mancanza di manutenzione (ad esempio serbatoi che perdono benzina nel terreno, ecc.) sta alla base del grave inquinamento del territorio. Investire in manutenzione e in nuove tecnologie per abbattere l’inquinamento, significa incrementare l’occupazione, creare economia, oltre a prevenire ulteriori contaminazioni.
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