Nei film c'è meno fantasia
Omicidio Reina: presi mandanti ed esecutori
http://www.tg10.it/node/9696promesso una notte di sesso, lontano da sguardi indiscreti. L’alcova era una residenza di campagna, in contrada Passo di Piazza, ad est della città. Ma era una trappola, rivelatasi mortale. L’uomo fu ucciso e successivamente bruciato. Vittima dell’agguato fu Agostino Reina, 32 anni, legato alla consorteria criminale della “Stidda”, in contrapposizione alla famiglia di “Cosa Nostra”. La vicenda che adesso ha inchiodato alle proprie responsabilità mandanti, esecutori materiali e complici di quell’efferato delitto, è stata chiarita, a distanza di 18 anni, dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e dagli investigatori del locale Commissariato di Polizia. Tre le persone arrestate, una delle quali è stata raggiunta da una notifica in carcere. I destinatari del provvedimento restrittivo, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo nisseno, sono il boss di Cosa Nostra, Davide Emmanuello, 46 anni, già rinchiuso nel carcere di Opera a Milano; Rocco Manfrè, 65 anni e Maria Rosa Di Dio, di 51, sorella di Orazio Di Dio, assassinato nel 1989, all’età di 37 anni, nell’ambito della cruenta guerra di mafia tra i due clan. Gli imputati sono accusati di omicidio premeditato, in concorso con Alessandro Emmanuello, fratello di Davide, e del capo mafia Daniele Emmanuello, ucciso tre anni fa dalla Polizia durante le fasi della sua cattura, in un casolare di Villapriolo, nell’Ennese. Per Alessandro Emmanuello, rinchiuso dal 1999 in Francia, è stata presentata richiesta di estradizione in Italia. Agostino Reina, fu ucciso il 30 giugno del 1992. Fu Maria Rosa Di Dio, soprannominata la “Maga” e sospettata di reggere un giro di prostituzione a Gela, ad invitarlo nella sua casa rurale, per una notte di passione. La vittima, conosciuta in città con il soprannome di “Pinu Buttighiuni”, raggiunse il luogo prescelto. La Di Dio rimase con lui pochi minuti, lasciandolo da solo in camera da letto, al primo piano, con la scusa di andare al piano sottostante, per preparargli un caffè. Ma si trattava di un agguato. Reina fu accerchiato dai killer, nascosti in uno stanzino adiacente, legato, torturato e strangolato. Secondo il racconto dei collaboratori di giustizia, Crocifisso Smorta e Fortunato Ferracane, l’uomo, vicino allo stiddaro Salvatore Nicastro, doveva pagarla con la morte per avere attentato alla vita dei componenti della famiglia Emmanuello, con lo sparo di numerosi colpi di pistola all’indirizzo della loro abitazione, in via Eutimo, e per avere piazzato nello stesso luogo, un ordigno esplosivo. Ad uccidere Reina, secondo le testimonianze dei due pentiti, fu un gruppo di otto “picciotti” (la cui posizione è al vaglio degli inquirenti del tribunale per i minori) . I ragazzi e la “maga” furono premiati con 100 mila lire ciascuno. Il cadavere fu seppellito in contrada Biviere da Rocco Manfrè ed Alessandro Emmanuello, ma qualche tempo dopo, fu disseppellito, messo dentro uno pneumatico e bruciato al fine di far scomparire ogni traccia. I resti furono rinvenuti il 7 novembre dello stesso anno dai Carabinieri, sotto un ponte di passaggio della linea ferrata Gela-Vittoria. Non si poté risalire all’identità per l’assenza di vestiti o tracce utili. L’aprile scorso la Polizia ha riesumato i resti del cadavere, custoditi nel cimitero Farello, e attraverso accertamenti tecnici e all’estrazione del profilo genetico, si è potuti risalire all’identificazione dell’uomo.