| facebook ha scritto: In Italia esiste una leggenda, quella secondo cui una parte del Paese sostenga economicamente l'altra e che dunque sarebbe giusto che trattenesse presso di se tali trasferimenti, a vantaggio delle proprie comunità locali.
In realtà, il sistema economico dualistico dell'Italia vede la presenza di 2 circuiti finanziari sovrapposti:
1) quello bancario;
2) quello fiscale.
Con la quasi assenza di istituti di credito a vocazione territoriale, il Sud è stato nel tempo sfruttato dal sistema bancario.
Anche grazie alla sua mentalità contadina, è un posto dove si è sempre risparmiato molto, diventando di fatto per le banche del Nord che vi hanno aperto le loro filiali un luogo di raccolta.
Lo stesso denaro dato alle banche è stato poi utilizzato per finanziare le aziende del Nord, dove il denaro è stato sempre prestato con tassi di interesse più vantaggiosi: al giorno d'oggi ancora esiste un divario tra i tassi applicati al Sud e al Nord, dove al Sud si può pagare anche il 5-7% in più. Dunque, il circuito bancario prende al Sud e da al Nord. Inoltre, con i risparmi del Sud, si è finanziato nel tempo il debito pubblico italiano, perché i piccoli risparmiatori hanno sempre gradito i titoli di Stato.
Per quanto riguarda il circuito fiscale, con un tessuto economico di tipo precapitalistico al Sud e con l'alta natalità, propria di una società mentalmente ancora contadina, lo Stato ha dovuto dispensare un pò di ricchezza nazionale, dando posti nel pubblico impiego ed assistenzialismo in genere. Grande promotrice di tali politiche assistenziali è stata nel tempo proprio la Democrazia Cristiana.
Dunque, dalle casse centrali dello Stato ci sono stati trasferimenti per creare occupazione e dunque stipendi.
Il punto è che tali stipendi sono stati spesi in gran parte per acquistare beni di consumo prodotti dalle aziende del Nord. Inoltre, attraverso il circuito bancario, quella quota del reddito che i bravi meridionali hanno saputo risparmiare è finita sui conti correnti a finanziare le aziende del Nord e il debito pubblico stesso.
Si dirà che è aumentato il prelievo fiscale, tanto da incidere ormai, compresa la finanza locale, per l'80% sul reddito delle persone fisiche, ma è anche vero che chi ha maggiore ricchezza sia giusto che dia il maggiore contributo.
Dunque, il problema che ci si dovrebbe porre è come ridurre tale prelievo fiscale senza danneggiare le casse dello Stato.
Qualcuno al Nord, da oltre 20 anni a questa parte, predica una cosa molto semplice, ma allo stesso tempo deleteria: ognuno si tiene a casa propria le "tasse" che paga. Insomma, vuole che il prelievo fiscale non sia su base nazionale, ma su livello regionale, provinciale, se non addirittura comunale.
A dire di questi signori, così facendo si responsabilizzerebbero quelle regioni del Sud sprecone, che fanno così tanto scialaquio dei soldi pubblici!
Il punto è che questi stipendi pagati tornano in gran parte al Nord, pure perché i meridionali comprano beni di consumo prodotti al Nord.
Inoltre, le presunte tasse pagate dai settentrionali sono pagate anche da quei 18 milioni di meridionali che per motivi di lavoro ( di mancanza di lavoro al Sud) si sono trasferiti a vivere nelle regioni del Centro-Nord. Dunque, dove è il problema?
Se poi pensiamo che anche qui al Sud, chi subisce il prelievo fiscale come al Nord, ovvero i lavoratori dipendenti ed i pensionati, viene anche lui spellato vivo, vorrei chiedere a questi signori cosa il Sud stia effettivamente togliendo loro.
Infatti, l'evasione fiscale è maggiore al Nord che al Sud, pure perché essa riguarda quasi esclusivamente i redditi da lavoro autonomo e quelli d'impresa, dove non c'è mai la certezza della loro reale consistenza.
Si dirà pure che l'evasione fiscale sia una conseguenza dell'eccessivo prelievo fiscale, ma tutti tacciono sul fatto che, se tutti pagassero, si potrebbero anche ridurre le aliquote.
Io voglio anche andare al cuore del problema: lo Stato ha troppi dipendenti. Si pagano troppi stipendi, sia a livello locale sia a livello centrale.
Se vogliamo ridurre le "tasse", dobbiamo ridurre nel tempo le spese dello Stato.
Per farlo, dobbiamo rendere la sua struttura più leggera, soprattutto con meno personale. Per farlo, dobbiamo far crescere il settore privato, in modo tale che i giovani trovino lavoro in azienda piuttosto che vincendo un concorso pubblico o venendo infornati da qualche politico in una municipalizzata!
Insomma, stiamo parlando dello sviluppo economico del Sud, non delle cattedrali nel deserto dell'era Iri e Cassa del Mezzogiorno.
Non stiamo parlando degli stipendi della regione Sicilia a perfetti fannulloni, giusto per toglierli dalla strada, ma di lavoro vero, di imprese vere, che devono nascere al Sud.
Stiamo parlando della fine del sistema dualistico, dove il Nord da al Sud per riprendersi poi tutto con gli interessi.
Per noi meridionali, per noi "terroni", il Nord si è preso i risparmi del nonno, lo stipendio di nostro padre e molti di noi, che per motivi di lavoro sono stati costretti a trasferirvisi.
Il cosidetto Federalismo Fiscale porterà alla fine del sistema dualistico senza lo sviluppo del Sud, che sarà rimasto abbandonato a se stesso, proprio come lo è oggi il Messico in mano ai narcotrafficanti, ma non sarà solo la rovina del Sud, portando le regioni meridionali alla bancarotta, pure perché non potranno tartassare i loro abitanti rischiando una rivoluzione, ma anche del Nord, perché il circuito bancario non potrà più fare la raccolta dei soldi che solitamente presta alle aziende del Nord.
Salterà l'intero sistema Italia e non mi vengano a parlare di secessione!
La prima cosa che farebbe uno stato meridionale post-unitario ( la cosidetta Esperia), per attirare gli investimenti nel suo territorio, sarebbe la sua uscita dall'Euro, adottando una moneta diversa, a più buon mercato, che avendo cambio sfavorevole renderebbe più vantaggiose le esportazioni delle merci prodotte nel suo territorio.
Questo naturalmente avrebbe una ripercussione anche sulle merci che solitamente vengono esportate dal Nord al Sud, riducendo sensibilmente il loro volume.
Inoltre, lo stato meridionale post-unitario, andando in bancarotta, finirebbe sotto una dittatura militare.
Non ci sarebbe un Messico in mano alle mafie, ma un Cile sotto un Pinochet!
La dittatura militare spazzerebbe via le mafie con i suoi metodi brutali!
La cosidetta Padania, invece, avrebbe enormi difficoltà a farsi accettare dagli stati europei confinanti e, privata di quel circuito bancario che faceva la raccolta al Sud, avrebbe difficoltà a finanziare gli investimenti.
Inoltre, essendo uno stato piccolo, avrebbe economie di scala e di apprendimento dimensionalmente piccole, tanto da subire l'influenza economica degli stati europei più grandi. La caduta del tenore di vita e il parallelo sviluppo del Sud, che sarebbe una nuova Corea del Sud, un nuovo Taiwan, spingerebbero gran parte di quei meridionali che si sono spostati al Nord a rientrare nelle loro regioni di origine, spopolando così il Nord.
Naturalmente, questo è quello che accadrebbe in caso di divisione consensuale della penisola, un pò come è successo in Cecoslovacchia nel 1993.
Tutt'altro scenario ci sarebbe nel caso di una divisione cruenta come è avvenuta nella ex-Jugoslavia.
Scoppierebbe una guerra civile ferocissima, dove i fatti più cruenti accadrebbero al Nord, dove vivono 18 milioni di meridionali.
Non ci sarebbe tanto una guerra tra la parte peninsulare e quella continentale, ma all'interno di quella continentale, dove potranno verificarsi anche episodi di vera e propria pulizia etnica. Nel cuore dell'Europa si ripeterebbero tragedie che credevamo, almeno per il vecchio continente, appartenere solo ai libri di storia. | |