Gela ha avuto una grande tradizione marinara, ma una serie di processi di trasformazione hanno contribuito a determinare la perdita di saperi e conoscenze relativi al mare. Quella della marineria gelese è una storia ricca, che spazia dal commercio marittimo alla pesca fino alla cantieristica navale testimoniata dalla presenza di un cantiere di mastro d’ascia ancora in piena attività al porto di Gela, che conferma un processo di continuità con una tradizione che porta lontano nel tempo. Un patrimonio di conoscenze tecniche, che andrebbero sostenute e salvaguardate.
Fino alla metà del secolo scorso il mare ha costituito una grande opportunità, che ha privilegiato chi ha voluto impiegarvi tempo e risorse. Ecco come...
Esisteva un vero e proprio gruppo sociale, partecipe di una realtà culturale comune, ossia quella legata al mare e alle sue risorse: famiglie di armatori, che rappresentavano una vera e propria elitè economica, essendo proprietarie di numerosi bastimenti, marittimi impiegati sui velieri che navigavano in tutto il mediterraneo e pescatori di spugne che sui “saccalleva” raggiungevano le coste di Libia e Tunisia per pescare quello che veniva ritenuto l’oro dei gelesi.
La flotta mercantile gelese era composta da “Golette” di grosso tonnellaggio, “Brigantini” di medio tonnellaggio e di “Velieri” oltre alle numerose barche da pesca. Quasi tutti i bastimenti erano registrati al Compartimento Marittimo di Porto Empedocle come bastimenti da carico.
Le rotte dei nostri velieri e successivamente dei motovelieri erano soprattutto verso la Libia, la Tunisia, la Spagna, Malta e i porti di Genova e Napoli. Le Golette erano imbarcazioni a tre o a due alberi e prendevano denominazioni a seconda del tipo di armamento:
- tipo Schooner: chiamata dai gelesi “Skunere” ed era costituita da due alberi con l’ albero maestro poco più lungo dell’ altro e con tre vele di strollo nel mezzo
- tipo Cutter (o Cuttera): che aveva invece un solo albero maestro più un albero piccolo di mezzana
- tipo Pinco chiamato dai gelesi “Pingaro” costituito da due alberi con la differenza che l’ albero di trinchetto era più lungo di quello maestro
Normalmente i marinai terranovesi utilizzavano le vele a forma latina e triangolo per i piccoli velieri, e le vele quadre per i bastimenti di tonnellaggio maggiore. Le vele utilizzate erano la vela latina, la vela quadra e la vela aulica conosciuta come vela al terzo e utilizzata dai Trabaccoli. L’ equipaggio dei velieri era composto dal Comandante, dal Nostromo, da due o tre marinai e un mozzo di bordo.
I velieri che solcavano il nostro mare erano di vario tipo:
- brigantino a palo: veliero con tre alberi verticali, quelli di trinchetto e maestra a vele quadre, l’albero di mezzana a vele auriche, e con bompresso.
- brigantino-goletta: veliero con due alberi verticali; quello di propra (trinchetto) a vele quadre, quello di poppa (maestra) a vele auriche, e con bompresso.
- goletta a palo: con bompresso, tre alberi verticali o un po' inclinati a poppa, tutti a vele auriche, più qualche vela quadra al trinchetto e talvolta anche a maestra e bompresso.
- nave goletta (detta anche barca bestia): con tre alberi verticali, il primo (trinchetto) a vele quadre, il secondo (maestro) a vele auriche e bompresso.
- brigantino goletta: con due alberi verticali. Il primo (trinchetto) a vele quadre, il secondo (maestro) a vele auriche e bompresso.
- tartana: barca da pesca e da carico dotata di un solo albero con vela latina
- trabaccolo: Piccolo bastimento mercantile da carico, a 2 alberi verticali con vele al terzo
- sciabecco: Bastimento da carico, a tre alberi verticali o poco inclinati a prora;
La marineria terranovese, nel 1903 comprendeva una flotta di 140 velieri, con un cabotaggio medio di 60 tonnellate, 22 barche pescherecce e più di una decina di barche di grosso cabotaggio. Quasi tutte le imbarcazioni ogni anno venivano sottoposte a controlli prima di intraprendere le lunghe navigazioni. Le riparazioni erano affidate ed artigiani di grande talento che operavano in una carpenteria attrezzata ubicata nei pressi della vecchia dogana: i calafati
Si racconta che i bastimenti che trasportavano carichi se cambiava il vento e soffiava lo scirocco rientravano a Gela e per non lasciarli in balia delle onde venivano tirati a secco con l'intero carico. All'operazione partecipavano da due a trecento uomini di fatica cioè tutti quei marinai che erano adibiti a tirare le barche a riva ed a trasportare la merce sulle piccole imbarcazioni ormeggiate al largo.
Caratteristico era il loro vociare quando tiravano a riva un barca, essi si collocavano in fila ai due lati della barca e dopo aver sistemato i travetti (in dialetto “i falangi”) insaponati nella parte dove andava a finire la barca, gridavano tutti insieme: Oh issa! Oh issa! Così l’ imbarcazione scivolava sopra i travetti predisposti e quindi veniva tirata sulla sabbia. |
Questo argomento che avete appena scritto, pur riproducendo la realtà non parla, tuttavia, degli armatori e dei proprietari dei motovelieri di Gela.
Perché non approfondite l'argomento?