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Storia ed Arte a Gela
I Bagni Greci a Gela
Vennero alla luce nel 1957, in prossimità dell'Ospizio di mendicità, a sud del moderno Ospedale, nell'area compresa tra via Palazzi, via Scavone e via Nuova e consta di due ambienti: l'ambiente I, a nord-ovest, all'interno del quale vi sono due gruppi di vasche (1-2) collegate ad un condotto di scarico (3); l'ambiente II, invece, comprende un ambiente di riscaldamento sotteraneo, un vero e proprio ipocausto. Le due stanze, coperte dal tetto con tegole, erano separate in origine da un muro in mattoni crudi del quale restano solo le tracce dell'assise inferiori. Il muro doveva essere intonacato.

Il gruppo 1 era formato in origine da 14 vasche disposte a ferro di cavallo attorno ad un pavimento di lastre quadrate di terracotta; restano al momento 12 vasche. Attorno alle vasche del settore nord corr
eva un muro di pietrame al quale esse si addossavano; all'esterno, a ovest, un altro muro con andamento trapezoidale costruito in un secondo momento, forse per ampliare l'ambiente; esso è formato da pietre. Le vasche del gruppo 1 sono del tipo greco a sedile e hanno inferiormente una cavità emisferica destinata a poggiarvi i piedi o per essere svuotata agevolmente, visto che non hanno foro di scarico e dovevano essere vuotate a mano.

Le vasche delle file rettilinee sono costruite con conglo merato (detriti di arenaria e frammenti di terracotta) e ricoperte da intonaco bianco. Alcune vasche del gruppo 1, e precisamente quelle del tratto occidentale, sono portatili e realizzate in terracotta, e, forse, facevano parte del complesso più antico trasformato, così come anche il pavimento. Il gruppo 2 è costituito da 22 vasche disposte a cerchio attorno ad un'area pavimentata in conglomerato. Tutte le 22 vasche sono mutile della metà posteriore, forse perchè il complesso non era stato portato a termine. Il gruppo 2 ad est è costituito da un impianto di riscaldamento con cameretta e due corridoi sotteranei, nei quali avveniva la combustione. L'ambiente superiore, il cui pavimento era sorretto dalle pereti dei corridoi sotteranei, doveva servire per vere e proprie saune.

L'impianto termale di Gela, che è l'unico complesso del genere in Sicilia, trova confronti con quelli greci di Delfi, di Olimpia, di Colofone, di Gortys, pur essi databili al IV-III sec. a..C.; la datazione è confermata dal
ritrovamento di unguentari, di oscilla, di anfore di tipo italico e punico, presenti negli ambienti suddetti, nonchè dalle monete di età timoleontea, alcune di conio siracusano (Trias: D/Testa di Athena con elmo corinzio; R/Ippocampo), di Gela (D/Testa di Zeus; T/Testa di Demetra di tre quarti), di tipo si culo-punico (D/Testa di Persefone-Tanit; R/Cavallo e palma) recuperate sul pavimento. L' impianto fu distrutto da un incendio intorno al 282 a.C.
 
La Diga Grotticelli a Gela
Sul fiume Gela, in Contrada Grotticelli, si trova la più antica diga di Sicilia. Essa fu fatta eseguire sin dal 1563 dalla Casa Ducale di Terranova, la quale per quest'opera destinata ad uso e consumo privato ebbe in compenso, dal Consiglio Civico della Città, circa 4.500 ettari di terre, (atto 18 dicembre 1565, Notaro Vincenzo Trabucco).

Nel 1920 la Casa Ducale, in forza di sentenze di Magistrati Italiani, dimostratisi molto più accomodanti dei Magistrati Borbonici, divenne proprietaria delle acque del fiume e quintuplicò arbitrariamente il canone di irrigazione dei vigneti, fissato nel regolamento del 1794. Mal volentieri gli interessati avevano subito il sopruso, ma nel 1925, quando la Casa Ducale volle calpestare un'inveterata consuetudine, imponendo personale proprio per irrigare terre altrui, gli interessati si ribellarono, tanto più che si preferiva buttare l'acqua a mare pur di non irrigare secondo la vecchia usanza. Le proteste furono unanimi e le autorità cominciarono a preoccuparsi della vertenza. Frattanto una sentenza della Suprema Corte di Cassazione aveva affermato che nemmeno la legge 16 Agosto 1922 n. 116, sul prezzo di vendita delle acque, autorizzava l'aumento degli antichi canoni di irrigazione. Da questa sentenza trasse nuovo impulso l'agitazione degli interessati, tanto più che il Prefetto di Caltanissetta (Pintor Mameli), illuminato dall'opuscoletto apparso nel gennaio 1926 (Diga Grotticelli e demani comunali), appoggiava apertamente le rivendicazioni dei proprietari dei fondi irrigui. D'accordo con lui fu decisa la costituzione di un Consorzio di Irrigazione, perchè gli interessati potessero meglio difendere i propri diritti e cercassero di venire in possesso della diga, dato che il fiume era stato incluso nell'elenco delle acque pubbliche della provincia di Caltanissetta.

Intanto cominciava a delinearsi il grave disastro causato dalla siccità e la responsabilità della Casa Ducale, che lo aveva aggravato buttando a mare notevoli quantitativi di acqua destinata all' irrigazione. I proprietari più animosi, appoggiati dal reggente della locale sezione di Cattedra (Dr. Scavone), portarono la vertenza al Convegno dell' aprile 1926, indetto in Roma dal Comitato promotore dei Consorzi di Bonifica. La denunzia fece impressione e la Casa Ducale, per attenuarla, mandò un proprio rappresentante al Convegno, per dichiarare che sarebbero stati eliminati gli inconvenienti di quell'anno e che il Duca avrebbe aderito al costituendo Consorzio; promessa poi non mantenuta.

Fu così che il problema della Piana di Gela, accompagnato da un'attiva campagna di stampa, varcò i confini della regione e fu portato davanti l'Amministrazione Centrale dello Stato. Ad agevolare questo compito contribuì in modo decisivo la istituzione dei Provveditorati alle OO.PP.. Il nuovo Ente, per affermarsi, faceva raccogliere dati sui bisogni dei singoli comuni dell' isola; Gela fu la sola a chiedere, con una petizione firmata da 3000 contadini, l'applicazione della legge sulle trasformazioni fondiarie al territorio della città. Il Provveditore, che era stato uno dei collaboratori dell'Onorevole Serpieri nella compilazione della legge, rimase impressionato della richiesta e non mancò di esprimere, in termini calorosi, la sua soddisfazione al Commissario Prefettizio al Comune che aveva trasmessa l'istanza. E il dott. Scavone fu incaricato di delimitare un comprensorio che meglio si prestasse all' applicazione della legge. Altro passo avanti quindi verso la soluzione del problema. Un altro passo si fece quando il Provveditore indisse a Palermo alcune riunioni per discutere sull'applicazione della legge in Sicilia, la prima dello Stato Italiano che fosse aderente alla realtà dell'isola: la delegazione di Gela dimostrò di essere la più agguerrita e la più preparata, non solo nelle discussioni ma anche nella campagna di stampa che le commentarono. Il disastro della siccità intanto maturava e i danni si rivelarono enormi: assommavano a una quarantina di milioni; e le Autorità, vivamente impressionate, invitarono il Provveditore a visitare la zona. Questi accettò l'invito e, resosi personalmente conto del disastro, invitò a Palermo un rappresentante dei fondi irrigui ed il Prefetto di Caltanissetta per esaminare a quali condizioni il Duca di Terranova sarebbe stato disposto a cedere la diga di Grotticelli. Poco tempo dopo fu costituito il Consorzio di irrigazione (Diga Grotticelli). Successivamente la Deputazione provvisoria del Consorzio riusciva ad attuare la trasformazione della chiusura della diga con un ingegnoso sistema a panconcelli che permetteva di utilizzare anche le acque di piena.

Nel dicembre del 1926 la gestione della diga Grotticelli fu affidata ad un commissario prefettizio, e dopo circa un secolo, il grido lanciato da un patriotta gelese nel 1842 < l'acqua del nostro fiume nelle mani di un privato è cosa troppo dura e insopportabile >, trova la prima eco; dieci anni dopo il privato era definitivamente estromesso.
 
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